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Conosci chi fa Ricerca

Intervista a Francesca Ieva

Intervista a Francesca Ieva

Francesca Ieva è Professoressa Associata di Statistica al MOX – Modeling and Scientific Computing lab del Dipartimento di Matematica, e co-direttrice del Centro di Health Data Science dello Human Technopole.

Rompi il ghiaccio raccontandoci un po’ di te, e del tuo percorso formativo e professionale.

Dopo la Laurea in Ingegneria Matematica nel 2008, ho conseguito il Dottorato di Ricerca in Modelli e Metodi Matematici per l’ingegneria nel 2012, per poi svolgere un periodo all’estero presso l’MRC Biostatistics Unit di Cambridge durante il post-doc. Da ricercatore mi sono spostata in Statale al dipartimento di Matematica per 3 anni, per poi tornare “a casa” al Politecnico nel 2016.

Amo lo sport (e la pallavolo in particolare), la musica… e il mio lavoro! Mi piace l’idea di poter far qualcosa di utile per la società. Per questo da sempre mi occupo di apprendimento statistico in ambito biomedico, ovvero dello sviluppo di metodi statistici e di Machine Learning per l’analisi di dati complessi in medicina, con l’obiettivo di supportare i clinici e la governance nelle scelte che impattano la nostra salute.

Cosa sono i dati clinici di cui si occupa una persona che fa il suo lavoro?

I tipi di dati di cui ci occupiamo sono tutte le informazioni che riguardano l’individuo, prima e dopo che diventi paziente. Spaziano dai dati omici (genomica, transcrittomica, proteomica, metabolomica), alle immagini (PET/TAC, MRI e fMRI) e alle informazioni che da esse è possibile estrapolare (che prendono il nome di radiomica), ai dati clinici contenuti negli Electronic Health Records, che registrano le prescrizioni, le procedure cui il paziente è sottoposto, i farmaci che vengono somministrati, e così via. Poi ci sono le informazioni sulla salute derivano da biosensori e app che le persone ormai utilizzano quotidianamente per monitorare le loro abitudini. Insomma, tutte le informazioni più o meno strutturate che descrivono lo stato di salute e il percorso di cura di una persona.

E una volta che tutte queste tipologie di dati sono state raccolte, perché è utile poterle analizzare?

E’ utile perché dall’analisi dei dati si può comprendere qualcosa in più del fenomeno che si sta osservando, e che non è facilmente deducibile attraverso l’osservazione del paziente che può fare il medico. Ci sono infatti degli elementi informativi all’interno delle immagini, delle fingerprint genomiche o dei pattern di evoluzione della malattia che la prassi clinica non è in grado di cogliere in modo chiaro quando ci si concentra sul singolo paziente. Inoltre, è utile perché analizzare i dati fornisce una sorta di visione aumentata della realtà al clinico, derivante dalla conoscenza estesa del fenomeno clinico e biologico, in cui il singolo caso può essere calato, ma come elemento di una variabilità biologica più ampia.

Poter far questo a partire da una fonte informativa ricca e diversificata, che integra modalità diverse, è senza dubbio un’opportunità unica, perché è solo dalla combinazione di tratti clinici e molecolari che può veramente emergere l’aspetto della personalizzazione della cura.

Che strumenti vengono utilizzati per fare le analisi dei dati?

Si parla di strumenti statistici e modelli matematici o stocastici che consentano innanzitutto di descrivere il fenomeno e la sua variabilità, quindi di catturarne e sintetizzarne gli elementi caratterizzanti per poi fare inferenza. Sono strumenti che provengono trasversalmente dalla statistica, dal Machine Learning, dalla modellistica matematica, dall’ingegneria biomedica e dall’informatica, e che richiedono sempre più spesso capacità computazionali importanti, conoscenza di diversi linguaggi di programmazione, e competenze trasversali a diverse discipline e domini.

Analizzare dati clinici è senz’altro utile ed importante, ma quali criticità specifiche presenta l’utilizzo dei dati sanitari?

Le criticità ad oggi sono ancora molte purtroppo, e di natura spesso più regolatoria che tecnologica. Innanzitutto ci sono difficoltà pratiche legate all’ancor troppo basso livello di digitalizzazione delle strutture sanitarie del nostro paese, oppure alla complessità ed estrema diversificazione dei dati che si dovrebbero integrare tra loro perché inerenti allo stesso individuo. C’è un tema di modalità di raccolta, di applicativi, di temporalità (un paziente può tornare più volte e vi è necessità di seguirlo longitudinalmente, magari anche su più strutture …). Un’altra complessità è quella legata alla mancanza di studi disegnati per la raccolta di dati “completi” sul paziente. Si raccolgono omiche se vi è una necessità specifica per una certa malattia, ma così ovviamente le coorti su cui si finisce a lavorare sono uno spaccato peculiare legato ad un problema specifico. E anche quando si dispone di banche dati costruite in modo adatto, i metodi in grado di gestire, istruire e allenare modelli per dati multimodali, complessi e di grandi dimensioni non sono ancora così comuni nello stato dell’arte.

Le vere criticità però sono in realtà di natura regolatoria. La frammentazione della competenza in materia di salute in questo non aiuta. Ad oggi non si sono ancora trovate soluzioni condivise e omogenee sull’intero territorio per la tutela della privacy e al tempo stesso di garanzia per la ricerca. C’è un’elevata eterogeneità decisionale all’interno dei comitati etici, e manca una chiara linea programmatica sui consensi informati ed il loro utilizzo. Infine, c’è pochissima consapevolezza da parte dei cittadini e delle comunità sulla rilevanza del tema.

Ma nonostante le difficoltà, quali sono le prospettive e le opportunità che l’analisi dei dati offre, ad oggi, sia in generale che in ambito sanitario?

Io credo che oggi i dati siano un linguaggio della realtà che viviamo. Così come non penseremmo mai di relazionarci al mondo senza saper parlare una lingua, che infatti impariamo fin dalla scuola dell’infanzia, oggi credo non sia più possibile pensare il mondo e la nostra esistenza in esso senza un’opportuna alfabetizzazione al linguaggio dei dati. Perché noi per primi siamo dati e produttori di dati, pertanto è inevitabile che l’analisi dei dati si candidi ad essere un potentissimo strumento di lettura aumentata della realtà. Questo è vero a maggior ragione in ambito sanitario, dove la digitalizzazione, così come la scoperta di pattern complessi non facilmente rilevabili dalla mente umana possono fare la differenza nel percorso di prevenzione, diagnosi, assistenza e cura, quindi tutta la filiera del processo legato alla salute.

Credo quindi sia importante continuare a sensibilizzare quanto oggi il corretto trattamento, l’opportuna protezione e la possibilità di utilizzo dei dati a scopo di ricerca sia essenziale per una sanità migliore nei servizi che offre e nella capacità di garantirci una vita migliore.