
Francesco, di cosa ti occupi nella tua ricerca?
Mi occupo di matematica applicata e, in particolare, sviluppo modelli e metodi numerici per descrivere fenomeni complessi. Il principale ambito applicativo in cui svolgo ricerca è la simulazione del cuore umano: cerco di comprendere e simulare il suo funzionamento per supportare la ricerca in ambito cardiaco e, in prospettiva, migliorare la medicina personalizzata. Inoltre, mi interessa l’interazione tra apprendimento automatico (Machine Learning), intelligenza artificiale e modelli fisici, un campo chiamato Scientific Machine Learning.
Perché è utile modellare il cuore con la matematica?
Il cuore è una macchina straordinaria, ma la sua complessità lo rende difficile da studiare solo con esperimenti e osservazioni. I modelli matematici permettono di simulare il suo comportamento in modo controllato e di testare ipotesi che sarebbero difficili da verificare in laboratorio o in clinica. Questo è fondamentale sia per comprendere meglio la sua fisiologia sia per sviluppare strumenti che aiutino i medici a prendere decisioni più informate sui pazienti. I modelli matematici possono infatti essere personalizzati utilizzando dati come immagini o misurazioni cliniche di un paziente specifico, costruendo così un gemello digitale del cuore del paziente. L’obiettivo del nostro lavoro è che un domani i medici possano utilizzare questi cuori virtuali per testare in anticipo strategie di intervento e personalizzare così la cura più adatta a ciascun paziente.
Passando a Machine Learning e Intelligenza Artificiale, come si legano alla tua ricerca?
La simulazione numerica di modelli complessi è spesso molto costosa in termini di tempo e risorse di calcolo. Questo ad oggi rappresenta il principale ostacolo alla loro diffusione in molti ambiti, non ultimo quello biomedicale. Il Machine Learning può essere usato per costruire versioni approssimate di modelli numerici basati su fisica, addestrate a partire da una collezione di simulazioni precalcolate, e che, seppur con una certa approssimazione, permettono di fornire risposte con tempi e costi compatibili con le applicazioni. La sfida è trovare il giusto bilanciamento fra accuratezza e costo computazionale, riducendo così anche l’impatto ambientale. Inoltre, il Machine Learning può aiutare a integrare dati sperimentali con la modellistica matematica, migliorando la capacità predittiva dei modelli.
Recentemente sei risultato vincitore di un finanziamento di oltre 1,2 milioni di euro dal prestigioso Fondo Italiano per la Scienza, nella linea Starting Grant, destinata a ricercatori emergenti, con un progetto del titolo “SYNERGIZE: Synergizing Numerical Methods and Machine Learning for a new generation of computational models”. Ci puoi raccontare qualcosa sugli obiettivi della ricerca?
Il Machine Learning è sempre più pervasivo nella vita di tutti noi, e – come dicevamo prima – anche nel campo delle simulazioni numeriche. Tuttavia, ad oggi restano aperte sfide cruciali, tra cui come garantire che le previsioni ottenute con i modelli di Machine Learning rispettino le leggi della fisica, e garantiscano un'accuratezza certificata, richiesta fondamentale in ambiti applicativi dove gli errori possono comportare un elevato costo (finanziario o sociale). Personalmente credo che la chiave non stia nel sostituire i modelli tradizionali con il Machine Learning, ma piuttosto nel pensare nuovi approcci dove i dati e la fisica diano luogo a sinergie.
Parlaci un po’ del tuo percorso. Cosa ti ha spinto a iscriverti a Ingegneria Matematica dopo la maturità classica?
Quando ho scoperto l’esistenza del corso di Laurea in Ingegneria Matematica, non avevo ben chiaro di cosa si trattasse, ma dal nome mi è sembrato che facesse per me: ho sempre avuto una passione per la matematica e l’idea di poterla applicare per risolvere le sfide che il mondo ci offre mi affascinava. Così, senza pensarci troppo, mi sono immatricolato.
Cosa ti piaceva della matematica?
La matematica era per me innanzitutto un divertimento, a cui mi sono avvicinato grazie a iniziative come giochi e olimpiadi della matematica. Credo che queste siano ottime occasioni per mostrare ai ragazzi quanto la matematica possa essere divertente e stimolante. Il volto della matematica che emerge in questi contesti è più vicino a quello della ricerca piuttosto che quello che si vede a scuola, dove si impara soprattutto a fare calcoli e ad applicare regole in modo meccanico. In questi giochi matematici, invece, viene posto un problema senza specificare con quale tecnica lo si debba affrontare. Questo stimola l’inventiva dei ragazzi, e fa intuire cosa significhi fare ricerca in matematica.
E poi, è cambiato il tuo rapporto con la matematica?
Durante gli studi universitari ho scoperto la bellezza e l’eleganza della matematica e delle sue teorie, e l’audacia delle costruzioni che i matematici hanno saputo sviluppare. Ho inserito così nel piano di studi quanti più esami di matematica possibile. Successivamente, ho scoperto che la possibilità di applicare lo stesso approccio a problemi reali, anche in quegli ambiti che fanno di tutto per sfuggire al rigore e alla coerenza della matematica, suscitava su di me un fascino ancora più forte. Così, grazie al mio relatore di dottorato Alfio Quarteroni, ho avuto la possibilità di iniziare a lavorare sull’applicazione della matematica allo studio del cuore umano.
Che consiglio daresti ai giovani che stanno intraprendendo un percorso STEM?
Il mio consiglio personale è di sfruttare gli anni dell'università per costruirsi un ampio background, spaziando in orizzontale e senza timore di seguire le proprie curiosità. Spesso vedo studenti che pensano che per entrare nel mondo del lavoro debbano già essere specializzati in un campo specifico prima della laurea e acquisire competenze che li rendano produttivi per un’azienda a partire dal primo giorno dopo la laurea. Tuttavia, per questo ci sarà tempo successivamente: gli anni dell’università devono essere vissuti soprattutto come un’opportunità per costruire la propria “cassetta degli attrezzi” e per esplorare diversi ambiti, così da scoprire anche cosa piace veramente.
Cosa ti piace più del tuo lavoro?
Che non ci si annoia mai, e che ogni giorno è diverso da quelli precedenti. Oltre alla ricerca, che per sua natura porta sempre nuove sfide, fare il ricercatore significa anche dedicare parte del proprio tempo alla didattica. Insegnare alle nuove generazioni di ingegneri del Politecnico è un’attività stimolante, che arricchisce anche chi insegna: le domande degli studenti che incontrano un concetto per la prima volta riescono spesso a sorprendere con punti di vista inaspettati. La vita del ricercatore comprende poi la scrittura di articoli e proposte di progetti di ricerca, la supervisione di ricercatori più giovani e il confronto con colleghi dello stesso settore o di ambiti diversi. Ognuna di queste attività mette continuamente alla prova e rappresenta un'opportunità di crescita.