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Ai fini dell'autenticazione è oggi sempre più diffuso l'utilizzo di caratteristiche intrinseche all'individuo,
quali l'impronta digitale, l'iride, il fondo della retina, etc...
Al contrario delle password alfanumeriche tradizionali,
per quelle biometriche è prevista una tolleranza fino a una determinata soglia d'errore.
Questo tuttavia pone problemi rilevanti in riferimento all'immagazzinamento sicuro di tali dati.
Le prime idee chiave per ovviare al problema, basate sull'uso dei codici correttori d'errore,
risalgono alla fine degli anni novanta, con il "fuzzy commitment scheme" di Juels e Wattenberg.
Tuttavia questo e i successivi sviluppi lasciano un campo di ricerca ancora ricco e aperto,
soprattutto per le difficoltà che si presentano a livello pratico nel mondo reale.
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